Baia , anno 798 ab Urbe condita
(anno 45 dopo Cristo, estate)

La carovana si arrestò nei pressi di Bauli e Publio Aurelio Stazio scese, stiracchiandosi, dal  carro padronale. Mentre i nubiani montavano la lettiga leggera, il senatore si affacciò al bordo della strada per rimirare ancora una volta il porto di Baia in tutto il suo splendore.

Baia, il luogo di ogni delizia, nelle cui terme miracolose si  coniugavano i piaceri più raffinati del corpo e dell'anima. Baia, la perla del mare, dove i vecchi ringiovanivano, i fanciulli si effeminavano e le vergini non restavano tali a lungo. Baia, il paradiso dei cacciatori di donne, da cui le belle matrone tornavano guarite nel corpo e ferite nel cuore...

La magica insenatura perfettamente circolare, i colonnati a picco sul mare, gli enormi bulbi delle aule termali, i giardini fioriti, le lussuose residenze dei grandi di Roma, prima tra tutte quella dell'imperatore: tutto ciò faceva di Baia la più bella e la più famosa stazione di villeggiatura dell'Impero.

Tornarci era sempre una gioia per il senatore, anche se, come sosteneva la sua amica Pomponia, l'ambiente sociale negli ultimi anni si era un po' involgarito con la presenza di molti nuovi ricchi dalle origini incerte, la cui educazione lasciava alquanto a desiderare. D'altronde, raffinatezza e cultura non sempre si accompagnavano a un borsellino ben fornito, o viceversa - rifletteva il patrizio - e Roma aveva un gran bisogno di sangue nuovo per rinvigorire la classe dirigente aristocratica, ormai in pieno declino.

Aurelio si sorprese a sorridere, pensando alla vecchia amica che lo stava aspettando. Chissà che cosa avrebbe inventato, stavolta, per animare la stagione. L'anno precedente c'era stata la grande festa notturna sull'acqua, con gli invitati travestiti da nereidi, tritoni e sirene...

- Ho mandato una parte dei muli a imbarcarsi per Pithecusa - lo informò in quel momento il segretario Castore.

Aurelio assentì. Infatti, sebbene lieto di partecipare all'intensa vita mondana della celebre stazione termale, voleva anche concedersi un po' di tempo per riposare, e avrebbe quindi intervallato i bagni e i banchetti con qualche breve ritiro nella sua residenza sull'isola di Pithecusa, dove, avendo al suo servizio soltanto una trentina di domestici, poteva godere di una relativa solitudine.

- Suppongo che per i primi giorni sarai ospite di Pomponia e Servilio - disse il liberto.

- Certo, Castore: occorre che i servi abbiano il tempo di ripulire la villa e rassettarmi il guardaroba. E a questo proposito, ti avverto che ho fatto inventariare le mie vesti estive capo per capo, nel caso tu avessi intenzione di farne sparire qualcuna, come al solito - precisò Aurelio, ben conoscendo la propensione del greco ad appropriarsi della roba altrui. - Ora manda uno schiavo ad avvertire che stiamo arrivando e aiutami a mettere un'altra tunica: quella che indosso è già zuppa di sudore.

- Abbiamo perso troppi liquidi, domine; è necessario ristabilire l'equilibrio degli umori, o potremmo cadere stecchiti da un momento all'altro - affermò il servo con aria spaventata.

Aurelio sbuffò. Era evidente che Castore aveva sete, e non certo di acqua. - Ti sei già scolato una giara di Setino a Literno e due coppe di Ulbano a Cuma... - gli fece notare.

- Appunto! Per digerirli, occorre un vinello leggero. Ecco, l'ho già preparato, bevine un po' anche tu! - lo invitò il liberto, mescendo generosamente dall'orcio del padrone, che era stato conservato per l'intera durata del viaggio tra due lastre di ghiaccio. - Porto i bagagli in villa e vengo a raggiungerti. Ti dispiace se finisco il vino? Tu sei quasi arrivato, ma io ho ancora tanta strada...

Il patrizio lo guardò, seccato: la sua villa si trovava sul contrafforte tra Baia e il lago Lucrino, mentre quella di Pomponia era ubicata proprio accanto al maggior stabilimento termale della città, per dar modo alla matrona, comodamente seduta sulla sua terrazza, di osservare il via vai dei clienti che entravano, e commentarne poi, con adeguata competenza, la ricchezza dell'abbigliamento, lo stato di salute e le eventuali amicizie compromettenti.

- Non hai che mezzo miglio in più da percorrere – fece notare Aurelio al suo segretario.

- In salita, però! Vieni, lascia che ti sistemi la veste pulita... ehi, vuoi davvero mettere questa? - chiese Castore, additando la sobria tunica color sabbia scelta dal senatore. - Alla matrona Pomponia farebbe più piacere se indossassi quella che ti ha regalato lei, col fregio purpureo ricamato a cigni in volo!

- Ma sembrano oche... - protestò debolmente il patrizio, già rassegnato a mettere in pericolo i suoi gusti raffinati pur di far contenta la vecchia amica.

Poco dopo, il senatore, avvolto nei cigni svolazzanti, faceva il suo ingresso in città, acclamato da una folla di monelli a caccia di qualche manciata di monete.

Presto il carro si arrestò davanti alla dimora di Pomponia. Stranamente, però, ad attenderlo sulla porta di casa non c'erano né il portiere né il capo della servitù, ma il cavalier Tito Servilio in persona.

- Oh Aurelio, meno male che sei qui - esclamò quest'ultimo, andandogli incontro con aria agitata. - Sono successe  tante cose, sapessi! Non impressionarti se troverai qualche piccolo cambiamento...

L'avviso, però, giungeva tardi. Varcate di buon passo le fauces, il senatore era rimasto inchiodato sulla soglia dell'atrio, fissando allibito due colossali statue nere dalla testa canina che  incombevano su di lui. Ai lati dei mostri, alcuni enormi babbuini di granito rosa lo scrutavano minacciosi, mentre sulla parete di fondo si ergeva in tutta la sua possanza l'immagine di una dea dal copricapo cornuto, riccamente vestita di lino bianco e adornata di gemme.

- Avete un faraone tra gli ospiti? - chiese Aurelio, sarcastico, mentre l'amico allargava le braccia con rassegnazione.

- Peggio, Aurelio, peggio - sospirò Servilio. – Mia moglie si è convertita al culto di Iside!

- Non mi dire! - gemette il patrizio, paventando già i pasticci in cui si sarebbe cacciata una Pomponia pia, devota, e per di più egittizzante.

- Ahimè, l'ha presa proprio brutta! Partecipa a tutte le funzioni, cambia personalmente il mantello della statua e digiuna tutte le nundinae!

- Pomponia sta digiunando? - ripeté Aurelio, incredulo. La situazione doveva essere grave, se l'opulenta matrona, che andava famosa per l'insaziabile golosità, si asteneva da leccornie e manicaretti...

- Sì, e pretenderebbe che io facessi altrettanto! – protestò Servilio, toccandosi indignato la pancia ridondante.

- Povero amico mio - disse Aurelio, compiangendo il bravo cavaliere, esperto di gastronomia più ancora che di affari.

- Per di più, mi ritrovo quotidianamente la villa invasa dagli adepti del culto, un'accolita di fanatici puzzolenti di incenso e capaci di raccontare le favole più inverosimili... ma eccoli che arrivano! Si presentano sempre puntualissimi, dopo ogni rito, pronti a bere e mangiare alle mie spalle: non hai idea della quantità di cibo che questi sedicenti digiunatori riescono a divorare in un solo pasto!

- Aurelio, Aurelio caro! - gli corse incontro Pomponia, sbracciandosi dall'entusiasmo. - Ho tante novità da raccontarti... pensa che oggi ho assistito a un prodigio!

- La statua di Iside, al tempio, stillava lacrime di sangue! - spiegò, con aria visibilmente commossa, il giovane che la seguiva.

- Ci sono elezioni in vista? - chiese caustico Aurelio, guadagnandosi subito un'occhiata storta da parte dell'uomo dall'abito candido alla guida del drappello.

Dietro di lui, due giovani piuttosto graziose, le spalle nude e il corpo fasciato di lino trattenuto in vita dal nodo isiaco, rivolsero invece al senatore un sorriso smagliante.

- Questo è Palemnone, il gran sacerdote.

- Lieto di conoscerti - disse Aurelio, sforzandosi di apparire sincero. - Permettimi di offrire qualche anfora del mio Setino alla cantina del tempio - aggiunse per compiacere la vecchia amica, che sembrava tenere il sacerdote in grande considerazione.

- Grazie, senatore. E tu accetta in dono questo potente amuleto, atto a salvaguardarti dagli incidenti di viaggio - ribatté il sacerdote, togliendosi dal collo uno scarabeo di turchese.

- Bello. Ma cosa significa l'iscrizione in geroglifico? - chiese curioso il senatore.

- È una giaculatoria augurale, per impetrare la protezione di Sobek, il dio coccodrillo - precisò il prete con un certo sussiego.

Lo scambio di cortesie fu interrotto da Pomponia, ansiosa di terminare le presentazioni.

- Ecco Damaso, il custode del sacello, con sua moglie Fabiana. E queste sono le sacerdotesse Egle e Arsinoe, che hanno l'incarico di lavare e pettinare il simulacro della dea - disse, spingendo avanti le due fanciulle.

 Iside aveva i suoi lati buoni, considerò il senatore apprezzando la grazia delle fanciulle, che lo guardavano con aperto interesse. Non tutti, però, dovevano pensarla come lui, perché alla vista dei corpi abbondantemente esposti delle sacerdotesse, la moglie del custode - una matrona dall'aspetto alquanto severo - si avvolse ancor più strettamente nella tunica vereconda e storse la bocca in segno di disapprovazione.

- Vibio, Nigello e Ippolito, i più assidui fedeli della dea - introdusse Pomponia. L'ultimo citato, Ippolito, il giovane che aveva riferito con enfasi l'episodio della lacrimazione della statua, si affrettò a invitare il senatore a una visita al tempio.

- Ne sarei lietissimo. Purtroppo, un precedente impegno mi impedisce... - tentò di defilarsi Aurelio, ma Pomponia lo smentì decisa, assicurando la sua prestigiosa presenza alle cerimonie del giorno dopo. Fu il segnale di attacco: immediatamente il patrizio venne sommerso di ragguagli non richiesti circa preci, novene, meditazioni e ineffabili estasi mistiche.

Aurelio si guardò attorno desolato, finché non scorse il profilo aguzzo di Castore che, tornato dalla villa sul monte, gli faceva segno dalle cortine del tablino. Il senatore lo raggiunse in fretta, felice di sottrarsi a una conversazione non troppo gradita.

- Pensi di dormire in un normale giaciglio, domine, o per stanotte devo procurarti un sarcofago? - lo canzonò il segretario.

- Numi dell'Olimpo! - esclamò il senatore con le mani nei capelli, mentre si avviava verso il suo alloggio. - Nemmeno il più ingenuo dei bambini crederebbe a una simile montagna di sciocchezze! Quel Vibio va dicendo che Iside lo ha guarito da un'infezione mortale, Nigello sente la voce della dea durante le meditazioni e Ippolito fa intendere di averne addirittura goduto i favori!

- Non è tutto, domine. I servi mi hanno raccontato che la moglie di un pretore, dopo anni di assoluta sterilità, ha ottenuto di concepire grazie a una sola notte di preghiera – riferì Castore, senza far mistero della sua perplessità.

- Bubbole! - scosse la testa Aurelio. – Purtroppo Pomponia crede ciecamente alle parole dei suoi correligionari e si offenderebbe a morte se li smentissimo. Per nostra fortuna, tuttavia, le passioni religiose della nostra amica durano poco: occorre soltanto trovare il modo di dissuaderla. Prendi subito informazioni su quel manipolo di esaltati, Castore, primo tra tutti il gran sacerdote, che mi sembra alquanto ambiguo.

- Che brutta faccia, con quegli occhi sporgenti. Il collare d'oro che si porta addosso lo fa sembrare un bue al giogo. Non hai qualche incarico più interessante da affidarmi? - chiese il liberto.

- Indaga sulla gravidanza della moglie del pretore e la malattia di Vibio; sono ambedue vicende piuttosto dubbie.

- Che ne dici se cominciassi invece dalle sacerdotesse? - si offrì Castore, volonteroso. - Di certo sono depositarie di arcani segreti, e per interrogarle serve un uomo dotato di tatto e discrezione.

- È vero, Castore; di conseguenza ci penserò io stesso - lo deluse Aurelio. - Tu appura piuttosto quanti soldi ha già incamerato Palemnone con le offerte dei fedeli. A parte il custode, gli altri adepti hanno tutti la borsa ben piena e sospetto che la aprano spesso per gratificare il tempio di laute donazioni.

- Senti odor d'imbroglio, eh?

- Non lo nego. Queste nuove divinità orientali, coi loro riti fin troppo suggestivi, mi danno ancora meno affidamento dei Numi greci e latini.

- Stavolta la tua allergia di epicureo nei riguardi del soprannaturale rischia di portarti fuori strada, padrone: sulla costa, la dea Iside, lungi dall'essere una straniera, è di casa da secoli, fin dai tempi in cui i primi marinai, in gran parte egizi, hanno fatto la loro comparsa nel porto di Puteoli.

- Dove infatti le è dedicato un grande tempio.

- Come pure a Neapolis e a Pompei. Il culto è ormai diffuso in tutto l'Impero, tanto che l'Iseum della spianata dei Saepta Iulia, a Roma, viene frequentato da cittadini della migliore società, e gode persino del riconoscimento imperiale - osservò Castore.

- Nell'Urbe l'amministrazione dei templi è sottoposta a ferrei controlli - puntualizzò Aurelio - ma a Baia le cose stanno diversamente. Qui tutto è lecito, lo sai bene; e non ci sarebbe da meravigliarsi se, invece di puntare su bagni, feste e cortigiane, qualcuno avesse deciso di fare soldi con la religione, che, da che mondo è mondo, è sempre stata una delle industrie più fiorenti.

- In effetti, ricordo che fino a un paio di anni or sono l'Iseum di Baia era chiuso al pubblico, mentre adesso è diventato di gran moda; e non c'è matrona che rinunci, tra un massaggio estetico e un tuffo in piscina, a raccogliersi per qualche istante in preghiera - fece notare Castore.

- La cura dello spirito unita a quella del corpo: un bell'affare, non c'è che dire. Ehi, ascolta... - disse Aurelio, tendendo l'orecchio. - Qualcuno si sente male... odo dei lamenti disperati provenire dall'atrio!

- Non allarmarti, domine: si tratta delle lodi salmodianti in onore della dea. Ho avuto occasione di udirle parecchie volte durante la mia giovinezza, ad Alessandria. Domani, al tempio, avrai modo di goderne un buon saggio anche tu – sorrise serafico Castore, mentre il padrone si stendeva sul giaciglio cercando di tapparsi le orecchie.

 

- Domine, domine, sveglia! - lo scosse Castore senza troppa delicatezza. - Siamo nei guai!

Mentre Aurelio balzava in piedi e buttava la testa nel catino dell'acqua, il segretario proseguì: - Stamattina all'alba, Pomponia si è recata come al solito all'Iseum. Attraversata la corte, è entrata nella sala dell'ekklesiasterion, si è unta le mani con l'olio benedetto, raccogliendosi poi in preghiera, in attesa che il gran sacerdote portasse dal purgatorium l'acqua lustrale necessaria per le purificazioni. Di Palemnone non si vedeva traccia, ma a un tratto la signora ha sentito la sua voce, piuttosto alterata, provenire dall'interno del santuario: pareva che il prete stesse litigando con qualcuno.

- Numi! Pomponia, curiosa com'è, non avrà certo resistito a ficcare il naso! - esclamò Aurelio.

- Proprio così. Ha aspettato un bel po'; ma poi, visto che non sentiva più nulla, si è decisa a fare uno strappo alla regola, ed è andata a cercare Palemnone nell'ala del tempio riservata agli adepti che hanno già compiuto i riti di iniziazione: gli appartamenti dei sacerdoti si trovano là dietro, in un complesso di stanze nelle quali nessuno è autorizzato a mettere piede.

- Pomponia, però, ci è entrata ugualmente...

- E mal gliene incolse, per sua disgrazia. Nel purgatorium ha trovato il gran sacerdote annegato nel bacino delle sacre abluzioni: qualcuno gli aveva premuto la testa sott'acqua fino a farlo affogare.

- Dei immortali! La nostra amica ha una corporatura robusta, e potrebbero pensare... - mormorò il senatore, preoccupatissimo.

- Temo che sia già accaduto, domine. Vibio, Nigello e Ippolito, appena arrivati al tempio, si sono recati nel purgatorium, dove, come iniziati, hanno diritto di entrare. Qui hanno visto la nostra amica mentre tentava di soccorrere il gran sacerdote sollevandogli la testa dall'acqua, e puoi bene immaginare quello che hanno dedotto... Sono decisi a formalizzare contro di lei un'accusa di omicidio!

- Per le corna del dio Apis, corriamo subito all'Iseum! - scattò il patrizio, precipitandosi in strada.

 

Il custode, sua moglie, le sacerdotesse e i tre adepti circondavano la povera matrona, per nulla intenzionati a cedere alla preghiere di Servilio, che li supplicava di lasciarla andare. Pomponia piangeva a dirotto, con una tale profusione di lacrime da far pensare che avrebbe potuto comodamente annegarvi Palemnone, senza bisogno di far ricorso all'acqua lustrale.

- Vi ordino di liberarla immediatamente! - tuonò il patrizio, salendo con due falcate i gradoni del tempio.

- Con quale autorità? - lo apostrofò Nigello.

- Con quella del Senato di Roma - scandì bene Aurelio.

- Qui siamo a Baia - tentò di obiettare il custode.

- Il Senato è il Senato, in Britannia come in Giudea, in Germania come in Iberia - ribatté gelido il patrizio.

- Ha ragione - intervenne Vibio. - Nessun magistrato locale potrebbe opporsi alla decisione di un padre coscritto... Tuttavia noi vogliamo giustizia - proseguì poi, rivolto al patrizio. - Palemnone godeva di grande stima in città, quindi ci rivolgiamo a te, proprio nella tua qualità di senatore, perché prenda in custodia questa donna e provveda a farla punire come merita.

- Se e quando la sua colpevolezza sarà dimostrata – precisò Aurelio, mentre Pomponia si accasciava esausta tra le braccia del marito.

- L'abbiamo vista in tre, mentre reggeva la testa del gran sacerdote a pelo dell'acqua! - dichiarò Ippolito.

- Ma chi vi dice che stesse spingendola sotto? Perché non le credete, quando sostiene che stava tentando di tirar fuori Palemnone dal bacino, nella speranza che fosse ancora vivo?

- Nel tempio non c'era che lei - fece Ippolito, scuro in volto.

- E le sacerdotesse? - chiese Aurelio, indicando le due fanciulle che si stringevano l'una all'altra, tremando.

- Senatore, guardale! Pensi forse che una di loro abbia la forza di costringere sott'acqua il capo di un uomo che lotta con tutte le sue energie per sopravvivere? Senza contare che, per salire all'altezza del bacile, avrebbero certamente avuto bisogno di uno sgabello!

Aurelio non seppe dargli torto: Egle e Arsinoe erano sottili come giunchi e non gli arrivavano nemmeno alle spalle. - Tuttavia le porte del tempio erano già spalancate, e chiunque avrebbe potuto penetrarvi... - fece comunque osservare il patrizio.

- Il custode non ha visto nessuno e non è tipo da lasciarsi distrarre facilmente - fu la risposta.

- Il santuario avrà certamente un'entrata di servizio...

- Sì, ma le chiavi le teneva Palemnone, che non mancava mai di sbarrare gli appartamenti privati, durante la notte.

- Ciò non gli avrebbe impedito di aprire a qualcuno che conosceva bene: uno di voi tre, per esempio...

- Come puoi credere che avremmo osato levare le mani su un sacerdote di Iside? - si scandalizzò Ippolito, la voce rotta dall'indignazione.

“Il giovanotto è l'anello debole della catena”, considerò Aurelio. “E su di lui che bisogna far pressione...”.

- Che cosa conti di fare, senatore? - chiese Vibio.

- Per il momento desidero vedere il cadavere – ordinò Aurelio, ben deciso a esaminare il corpo prima che se ne impadronissero i libitinarii per procedere alla mummificazione: da quando Caio Cestio si era fatto seppellire sotto una piramide alle porte stesse dell'Urbe, i complessi riti funerari egiziani erano diventati di gran moda...

- Potresti profanare la salma... - esitò Ippolito, ma gli altri due si scambiarono una rapida occhiata e acconsentirono.

Poco dopo, Aurelio si trovava davanti al corpo del gran sacerdote, piamente ricomposto dai discepoli nel purgatorium, sulla panca di pietra accanto al bacino in cui aveva trovato la morte. Il viso gonfio e bluastro non presentava caratteristiche diverse da quelle di qualsiasi altro annegato, e il corpo tozzo era stato già rivestito delle vesti sacerdotali di gala: tunica di lino bianco abbagliante e rigido collare d'oro. Possibile che i fedeli intendessero davvero tumularlo in compagnia di quel patrimonio? si chiese Aurelio, mentre tentava di slacciargli di dosso il pesante pettorale per accertarsi del suo valore.

L'impresa si rivelò più ardua del previsto. Per quanto si adoperasse a manipolare i ganci, il patrizio non riuscì a staccare l'ampia piastra dorata dal collo ormai irrigidito del sacerdote, sulla cui  base spiccava una brutta voglia di vino. L'operazione dette comunque i suoi frutti, perché l'attenta osservazione del vistoso ornamento permise ad Aurelio di notare due minuscole tacche e alcune lievi imperfezioni che rivelavano, sotto la doratura superficiale, il vile metallo di cui era composto. Palemnone, dunque, malgrado le pingui offerte, riservava al culto della dea soltanto un collare di rame, ricoperto da una sottile patina di metallo prezioso...

- Non posso svolgere alcuna indagine senza conoscere meglio l'ambiente degli iniziati - dichiarò il senatore, una volta posato il collare. - Soltanto addentrandomi meglio nei rituali del culto, potrei arrivare al movente di questo delitto.

Vibio, Nigello e Ippolito si guardarono perplessi, lasciando poi la parola al loro portavoce.

- Ovviamente non posso svelarti nulla dei misteri, ma sono a disposizione per illustrarti tutto ciò che può servire ad avvicinarti ai nostri riti - dichiarò Nigello, sempre ansioso di guadagnare nuovi proseliti. - Sono certo che un uomo sensibile come te verrebbe profondamente toccato dall'altissimo significato spirituale delle cerimonie: in questo secolo così bassamente materialista, la religione di Iside è il solo mezzo per elevarsi al di là dei meschini bisogni corporali.

“Numi, quante prediche dovrò sorbirmi per venire a capo di questa faccenda?” si chiese il patrizio, rassegnato, mentre Nigello proseguiva imperterrito la sua concione.

- Oggi non c'è più rispetto per i valori sacri: i giovani non pensano che ai guadagni, agli orpelli, ai facili amori! La nostra è ormai una società ricca, disperata e terribilmente infelice!

Aurelio, ligio al dovere di aiutare Pomponia, si morse la lingua per non replicare e chinò il capo in un cenno che avrebbe voluto sembrare di assenso.

- Tu stesso, confessalo, in cuor tuo ti senti spesso vacuo e annoiato, in mezzo al lusso, ai banchetti, alle legioni di schiavi - continuò Nigello con una smorfia di disgusto. – Alla lunga, le donne che tanto facilmente ti si offrono in questa città corrotta finiscono per suscitarti ripugnanza, mentre il tuo palato non sente più il sapore dei cibi sopraffini con cui si ingozza. Sesso, bagni, festini, cultura arida e parolaia: è da tutto questo marciume che Iside deve sbarazzarci!

Aurelio auspicò che la dea non ottemperasse troppo presto alla sua opera purificatrice, lasciandogli il tempo di godere ancora un po' di tutte quelle terribili turpitudini che l'ardente Nigello condannava con tanto vigore. Si limitò così ad annuire tiepidamente, stando al gioco. Coi fanatici religiosi non c'era modo di discutere, pensava: certi com'erano di avere in mano la sola e inoppugnabile verità, trovavano del tutto naturale che gli altri si facessero persuadere senza obiettare alcunché.

- La devozione a Iside ti eleva al di sopra di questo lurido immondezzaio - imperversava Nigello. - Che cos'è la vita terrena, se non un mero passaggio verso il regno dell'oltretomba? La dea che resuscitò la virilità del suo sposo ucciso salverà anche noi dalla morte, offrendo a chi la merita un'eternità di pace e di giubilo!

“Tutta l'eternità a giubilare, Numi, che noia!”, considerò il patrizio tra sé e sé, mentre ascoltava compunto il sermone.

Finalmente Nigello fu costretto a interrompere la predica per attendere alle sue funzioni presso il tempio. Infatti, la piccola comunità l'aveva designato a ricoprire temporaneamente il ruolo del defunto Palemnone, in attesa che dall'Egitto indicassero un altro gran sacerdote. E siccome ad Alessandria non parevano preoccuparsi troppo dei neofiti di Baia, c'era da scommettere che Nigello avrebbe detenuto la carica abbastanza a lungo.

Non appena il novello gran sacerdote se ne fu andato, Vibio squadrò il senatore con uno sguardo di aperta diffidenza. - Nigello pecca di ingenuità nel prendere sul serio il tuo interesse per Iside, senatore - commentò brusco. - Io però non ci casco: ti si legge in faccia quanto sei fiero di essere un epicureo che si fa beffa degli dei e crede soltanto alla labile ragione umana. Il tuo atteggiamento è un'offesa per i veri credenti.

- Io rispetto le tue convinzioni, Vibio, tu rispetta le mie!- tagliò corto il senatore, che non ne poteva più di prediche.

- Anch'io ero scettico come te quando venni qui, già rassegnato a morire, dopo che tutti i luminari di Capua mi avevano dato per spacciato. Non avevo più alcuna speranza, ma la dea mi risanò completamente, e da  allora mi sono messo al suo servizio. Naturalmente, tu attribuirai la mia portentosa guarigione al caso, o a un errore dei medici...

Ippolito intervenne, conciliante: - Coltiva la dovuta pazienza, Vibio. Non puoi aspettarti di convertire il senatore così, di punto in bianco. Dobbiamo ascoltare le sue opinioni, cercando nel contempo di fornirgli delle prove inconfutabili dell'opera misericordiosa di Iside: certo, per capire veramente, dovrebbe chiedere di essere iniziato ai misteri e passare anche lui attraverso le nostre meravigliose esperienze...

Il patrizio aguzzò le orecchie: dall'esterno gli sarebbe stato praticamente impossibile addentrarsi nei segreti di quelle arcane cerimonie, ma come aderente al culto avrebbe avuto mano libera. D'altra parte, non aveva forse già consultato il Necromanteion, l'oracolo di Delphi e persino la Sibilla Cumana, nella speranza di scoprirne i trucchi? Un'iniziazione in più non gli avrebbe arrecato soverchio danno. - Confesso che la cosa mi attira, tuttavia nutro ancora qualche perplessità - finse di esitare.

- È normale, è normale! Ma la dea, vedrai, saprà dare una risposta a tutti i tuoi dubbi! - esclamò Ippolito, sprizzando gioia da tutti i pori. Vibio, per nulla persuaso dell'improvvisa buona volontà del senatore, si congedò frettolosamente, con un pretesto.

- Sai, non è affatto vero che Iside esiga la rinuncia a tutti i piaceri; anzi, restituisce mille volte ciò che sembra toglierti - spiegò Ippolito quando furono soli.

- Davvero? - domandò il patrizio in tono stupito, mentre si chiedeva se con quel generoso risarcimento non avessero per caso a che fare le due affascinanti sacerdotesse.

- Oh senatore, sapessi cosa ho provato! - gongolò Ippolito con gli occhi luccicanti.

- Ma è proprio vero che tu e la dea... - sussurrò il patrizio in tono di complicità.

- Sembra incredibile, vero? - disse il giovane con un sorriso rapito, e Aurelio non si sentì in dovere di smentirlo.

- Era notte fonda - ricordò Ippolito - e avevo pregato a lungo. Palemnone mi aveva preparato una pozione atta a predisporre l'animo all'estasi...

Dunque i sacerdoti facevano uso di droghe e allucinogeni per gabbare i creduloni, tradusse Aurelio.

- ...Stavo per cedere al sonno, quando, nel fumo degli incensi, mi apparve la dea. Era immensa e magnifica, paludata in un lungo manto d'oro...

Un'attrice consumata, interpretò il patrizio, con addosso un paio di trampoli che l'ampio mantello nascondeva a dovere: era necessario scoprire al più presto di chi si trattava.

- ...Si stese su di me, che giacevo nudo al centro del tappeto sacro coi segni dello zodiaco, e...

Qui il giovane si interruppe, troppo emozionato per proseguire il racconto.

“Come messinscena non è male, potrebbe persino rivestire aspetti interessanti”, si disse Aurelio, decidendo seduta stante di chiedere l'iniziazione ai primi misteri.

 

Castore sedeva su uno sgabello ai piedi del triclinio del padrone, abbeverandosi col Falerno invecchiato che Pomponia riservava alle autorità di grado consolare.

- Una buona metà del patrimonio di Ippolito e Nigello se ne è già andata in donazioni; ambedue, inoltre, hanno fatto testamento in favore del tempio. Vibio, invece, si mostra meno magnanimo, sebbene da un paio di anni, da quando cioè si è trasferito qui da Capua, abbia visto moltiplicare i suoi introiti grazie agli investimenti nei cantieri navali - riferì il liberto e fece segno al pocillatore di riempirgli di nuovo la coppa.

- Iside è appunto la patrona dei naviganti, per via del viaggio per mare che avrebbe intrapreso al fine di recuperare i pezzi del cadavere dello sposo Osiride, ucciso dal perfido Seth - ricordò Aurelio.

- Concependo poi il figlio Horo dal marito defunto, ragion per cui viene ritenuta la dea della resurrezione. Come protettrice dei marinai, è venerata in tutta la costa e ogni anno si celebra la sua festa alla riapertura delle rotte mediterranee - terminò Castore, che, da buon alessandrino, conosceva a menadito i miti egizi.

- Hai saputo qualcosa di Palemnone e delle sacerdotesse? - domandò il patrizio.

- Le due ragazze, Egle e Arsinoe, sono sorelle, liberte di una famiglia di Stabia andata in rovina. Affrancate senza un sesterzio, non restava loro che la scelta tra il tempio e il lupanare. Non hanno avuto dubbi: il ruolo di sacerdotessa comporta parecchi privilegi.

- E se vogliono concedersi certe soddisfazioni, non resta loro che recitare la parte della dea con gli adepti più giovani e ardenti - ironizzò il senatore.

- In quanto a Palemnone, non ho scoperto molto, a dire il vero. Comparve a Puteoli, qualche tempo fa, spacciandosi per mago e indovino; in seguito si trasferì a Baia, dove l'abbondanza di ricchi villeggianti gli offriva una più larga possibilità di azione; poco dopo gli venne conferito l'incarico di gran sacerdote dell'Iseum.

- Quindi, non siamo neppure sicuri che sia egiziano, anche se mi ha riferito seduta stante il significato di quell'iscrizione, quando gliel'ho chiesto... A proposito, dov'è finito lo scarabeo? Ah, eccolo qui - disse Aurelio, prendendo in mano il ciondolo di turchese. - Non sarebbe male verificare se quel sedicente sacerdote ha interpretato correttamente la giaculatoria.

- È un vero peccato che Nefer sia rimasta a Roma; avrebbe potuto aiutarci - sospirò Castore, alludendo alla massaggiatrice egizia del senatore.

- Credi? Mi sembra difficile che la nostra Nefer sia in grado di tradurre la lingua cerimoniale dei suoi antichi progenitori. Tu piuttosto, possibile che non sappia leggere i geroglifici, con tutti gli anni che hai passato ad Alessandria? Io ho fatto qualche tentativo di impararli, durante i miei soggiorni in Egitto, senza mai riuscirci completamente - disse il senatore.

- È una forma di scrittura usata soltanto nei documenti ufficiali, padrone. Ad Alessandria c'è ancora chi sa un po' di demotico imbastardito, ma il grosso della popolazione ormai scrive soltanto in greco e persino le litanie in onore di Iside si recitano in quella lingua. Comunque, possiamo sempre tentare di capirci qualcosa assieme - affermò Castore, cominciando a esaminare l'amuleto. - Ecco, qui c'è un'oca, che se non sbaglio significa “figlio”, e questo rettangolo aperto in basso potrebbe voler dire “casa”. Poi vengono due donne e un falco, seguite da una specie di ghiribizzo.

- Strano, le figure umane sono rappresentate l'una in faccia all'altra - notò all'improvviso Aurelio. - Eppure, di solito è il verso in cui sono disegnati i personaggi a indicare da che parte bisogna leggere la frase: il geroglifico, infatti, può essere scritto indifferentemente da destra, da sinistra, dall'alto o dal basso, e talvolta persino in diagonale!

- In effetti, è un'incongruenza - convenne il segretario.

- Forse vale la pena di fare qualche sforzo in più, Castore: ricordo, per esempio, che questo bastoncello, simile a una freccia ricurva, indica sempre il re - rifletté il patrizio.

- Togliti dalla testa l'idea di tradurre l'iscrizione, domine. Anche se col tempo ti riuscisse di decifrare tutti gli ideogrammi, cosa di cui mi permetto di dubitare, saresti ugualmente al punto di prima, perché nella scrittura egizia esistono parole formate da due o anche tre segni uniti insieme, i quali hanno valore fonetico, come le lettere dell'alfabeto.

- Hai ragione, ci stiamo imbarcando in un'impresa impossibile: soltanto i termini formati con il segno che significa “re” sono decine e decine, tutti di significati diversi. Però mi viene in mente una cosa... - disse Aurelio, analizzando il talismano con estrema attenzione. - Osserva bene il graffito. Il geroglifico che ti dicevo è stato inserito in mezzo agli altri due che compongono il vocabolo...

- Ebbene? - chiese il segretario, perplesso.

- Questo è inconcepibile. Sono sicuro che, per rispetto verso il sangue divino dei faraoni, il simbolo del re viene sempre disegnato all'inizio della parola...

- Che cosa stai insinuando? - domandò il segretario, lisciandosi la barbetta a punta.

- Castore, questa iscrizione non significa proprio nulla; è soltanto un'accozzaglia di segni vergati a caso da qualcuno che non aveva la minima conoscenza di antico egizio – affermò Aurelio, convinto.

- Sarebbe dunque un falso, concepito al solo scopo di impressionare gli sprovveduti! - concluse il segretario.

- Ci scommetterei! La cosa, comunque, non mi meraviglia affatto: dovevamo immaginare che si trattava di una truffa! Le religioni orientali sono un affare d'oro; a far fioccare i sesterzi bastano un paio di amuleti, qualche processione solenne, un po' di atmosfera esotica e arcana. E a chi tenta di andare più a fondo, viene risposto che certi misteri sono riservati agli iniziati...

- Gli egiziani sono maestri nell'influenzare la plebe. Tutta quella scenografia, quelle statue colossali, quegli dei dalle teste animalesche sortiscono un gran effetto. Aggiungi qualche miracolo ben congegnato...

- A proposito di prodigi, che si dice in città della moglie del pretore?

- Il marito avrebbe chiesto il divorzio, se la donna non gli avesse dato al più presto un erede, e lei non era abbastanza ricca da potersi mantenere con la restituzione della dote. Un figlio gli era assolutamente necessario; così, messa alle strette, non ha esitato a rivolgersi a Palemnone.

- Il quale, dal canto suo, dev'essersi generosamente adoperato per ottenere il miracolo! - terminò il senatore, sarcastico.

- Resta però l'improvvisa guarigione di Vibio, alla quale hanno assistito centinaia di fedeli - fece presente Castore.

- Sempre che il morbo da cui era afflitto fosse davvero grave. Sai bene che molti disturbi sono dovuti all'autosuggestione... tutti i trattati medici sull'isteria, compreso quello di Ippocrate, mettono in guardia contro le malattie immaginarie.

- E l'intima frequentazione che Ippolito sostiene di aver avuto con la dea? - chiese il segretario.

- Questo è un particolare che intendo appurare di persona. Ho osservato con scrupolo sia Egle che Arsinoe, e non mi dispiacerebbe affatto se una delle due prendesse nottetempo il posto di Iside, per farmi visita nel corso dell'iniziazione! - scherzò Aurelio.

- Rimane il custode, che però sostiene di essere rimasto con la moglie tutta la notte. Chissà se lei mente per coprirlo...

- Non credo. Fabiana ha l'aria di essere una donna poco maneggevole; per di più, da come guarda di traverso le due giovani sacerdotesse, giurerei che disapprova apertamente talune estasi che di mistico hanno ben poco. Andrò a chiederle conferma dell'alibi del marito... mi sembra l'unica, tra gli adepti del tempio, a tenere ben salda la testa sulle spalle!

 

Prima di riceverlo nella guardiola, la donna si strinse addosso la castigatissima palla fermata fino al polso e provvide a ricoprirsi il capo col velo, per mettersi al riparo da un eventuale sguardo indiscreto.

Aurelio sbuffò, impazientito: diffidava delle donne che sbandieravano la pudicizia come un vessillo di guerra, così come dei tanti suoi concittadini troppo gelosi della loro virtus romana. L'esperienza gli aveva insegnato che spesso la severità mostrata in pubblico serviva soltanto a far da schermo a costumi privati non proprio ineccepibili.

Fabiana, tuttavia, non aveva l'aria di un'ipocrita: nel rivolgergli la parola, teneva gli occhi bassi, e genuino pareva l'imbarazzo che manifestava nel trovarsi a tu per tu con un personaggio di tale importanza.

- Sì, è possibile che tra i seguaci di Iside ci sia qualcuno in malafede - ammise la donna di malavoglia. – Circolano troppi soldi al tempio, per non sospettare di qualche devozione interessata. Ho tentato di mettere in guardia mio marito, a questo proposito, ma lui non vuole sentire ragione. Quando ha saputo della gravidanza della moglie del pretore, ha lasciato il suo lavoro di stalliere per trasferirsi qui come custode del tempio, a un salario molto inferiore, confidando che lo stesso miracolo accada a noi. Desidera un figlio sopra ogni cosa ed è convinto che Iside lo esaudirà. Anch'io ovviamente ci spero; ma più passa il tempo, più temo di non possedere la fede necessaria per ottenere dalla dea una grazia così grande. A volte mi viene da pensare che gli uomini chiedano troppo ai loro dei: non fanno che invocare aiuto, ognuno secondo le proprie piccole, egoistiche esigenze. Forse sarebbe meglio lasciar decidere a loro...

Una donna di buon senso, pensava il senatore, fuori posto in mezzo a tutti quegli esaltati. Di certo Palemnone non avrebbe potuto ingannarla tanto facilmente, o procurarsi la sua tacita complicità, come quella che senza dubbio aveva ottenuto dalla moglie del pretore...

- Forse tuo marito Damaso, infatuato com'è della sua religione, sta mentendo per proteggere uno dei fedeli - azzardò.

- Non lo farebbe mai, è un uomo troppo onesto per coprire le malefatte altrui - disse Fabiana. - Inoltre posso testimoniare che non si è mosso di casa, quella mattina: la sera piomba addormentato come un bambino e all'alba ho il mio daffare a svegliarlo.

- Quindi escludi che possa essere uscito a tua insaputa...

- Sì, io ho il sonno leggerissimo e me ne sarei certamente accorta - affermò la donna, sicura.

- Il sonno leggero, dici. E non hai mai sentito rumori sospetti, durante le notti che gli iniziati passano al tempio?

Fabiana strinse le labbra in una smorfia di disappunto, tuttavia non aggiunse nulla.

- Certe apparizioni mi convincono poco, soprattutto se penso alla presenza di due graziose fanciulle sotto lo stesso tetto degli iniziati... - incalzò Aurelio, certo che l'allusione avrebbe trovato fertile terreno nella severa matrona.

- In effetti, sarebbe consigliabile scegliere le sacerdotesse tra ragazze meno ansiose di mettersi in vista; d'altro canto, non spetta a me giudicare -- commentò Fabiana in tono acido, prima di chiudersi in un rigoroso silenzio che la diceva lunga sulla sua opinione.

 

Il giorno seguente Aurelio, in compagnia di Servilio, stava interrogando Pomponia, dopo aver riferito alla coppia, per filo e per segno, il risultato delle indagini.

- Ti ho già detto mille volte che non ho riconosciuto la voce proveniente dal purgatorium!- esclamò la matrona, esasperata.- Comunque, Palemnone era già uscito a destare la dea dal suo sonno notturno, quindi la cella doveva essere aperta...

Il senatore annuì, cercando di portar pazienza. Sapeva che Iside era una divinità dalle vaste pretese: la si doveva risvegliare all'alba con invocazioni particolari, lavare, vestire, acconciare  con pettini d'avorio e infine profumare con unguenti preziosi. E al tramonto occorreva invertire tutto il procedimento, per metterla a letto.

- Inoltre - proseguì la donna - non so proprio niente del passato di Vibio o di Palemnone: erano i miei compagni, non mi andava di spettegolare su di loro.

Numi, che disastro! pensò Aurelio: Pomponia aveva preso la conversione tanto sul serio da rinunciare addirittura al suo passatempo preferito!

- E la moglie del pretore? - tentò di nuovo il patrizio. - Per quanto grande sia la tua fede, amica mia, non posso credere che tu abbia resistito alla tentazione di sguinzagliare qualche spia sulla traccia di una vicenda così ghiotta. Una gravidanza illegittima, un figlio adulterino, un sacerdote disponibile a operare il miracolo... tutto pane per i tuoi denti, mia cara: possibile che tu abbia rinunciato ad addentare almeno un piccolo boccone?

- Be', a dire la verità, qualche voce l'ho sentita. Il barbiere del pretore è cugino di una delle mie ancelle, e tempo fa mi è accaduto di chiedergli del bambino - ammise infine la brava signora.

- Allora? - chiesero all'unisono Servilio e Aurelio.

- Pare che abbia gli occhi un po' sporgenti – confessò Pomponia, riluttante.    Questo però non vuol dire che sia figlio del prete: Iside è rappresentata spesso con l'aspetto bovino, e può avere conferito di proposito quella fisionomia al neonato.

Aurelio non nascose la sua irritazione: - Non arrampicarti sugli specchi, Pomponia! Quella banda di truffatori sta per incastrarti con un'accusa di omicidio, e tu pensi ancora a difenderli!

- Dagli retta, mia cara! - la supplicava il marito.

Pomponia squadrò il senatore con fiero cipiglio, la fronte aggrottata e i pugni chiusi sui fianchi in atteggiamento battagliero. L'ampia mole della matrona era completamente avviluppata in un lenzuolo bianco, che la faceva somigliare a una statua di Giunone in attesa di inaugurazione, e la sua collera era pari a quella della dea il giorno in cui aveva scoperto la scappatella del divino sposo con la bella Alcmena.

- Non vorrai farmi credere che sia tutto falso! – tuonò scandalizzata. - Centinaia di fedeli sono pronti a testimoniare quanto hanno visto coi loro occhi!

- A volte la gente vede ciò che vuole vedere - ribatté il patrizio.

- Stavolta non riuscirai a convincermi, Aurelio: è il tuo scetticismo esasperato a farti sospettare imbrogli dappertutto! - si indignò Pomponia.

- Ragiona, moglie mia - intervenì il marito Servilio. - Se il nostro amico può far qualcosa per tirarti fuori da questo guaio, è soltanto scoprendo il marcio che si nasconde sotto il culto di Iside. Il che non significa affatto che tutti i suoi devoti siano dei mistificatori, ma soltanto che alcuni disonesti approfittano della buona fede degli altri per rimpinguare la borsa vuota. Se riusciamo a smascherarli, la setta non avrà che da guadagnarci.

Un po' rabbonita, la matrona venne a più miti consigli. - E va bene... - si arrese. - Il cosiddetto figlio del pretore ha una voglia di vino sul collo.

- Adesso ti riconosco, amica mia! - fece Aurelio, soddisfatto. - Allora, sei disposta ad appoggiare la mia candidatura all'iniziazione?

- D'accordo, Aurelio. Bada, però: se scopro che intendi prenderti gioco dei misteri... - minacciò Pomponia, con fare fosco.

Il patrizio spergiurò, incrociando le dita.

 

L'indomani, Aurelio bussava alla porta del custode, per convincerlo a fornirgli un piccolo aiuto.

Infatti, dopo aver riflettuto a lungo, il senatore aveva deciso di scommettere sulla malafede di Vibio, soprattutto perché  non c'era modo di sapere dove avesse trovato le forti somme che, investite nei cantieri navali, ne avevano fatto uno degli uomini più in vista di Baia.

Negli affari, Vibio aveva dimostrato un fiuto straordinario: anziché costruire mastodontiche quadriremi, si era dedicato a fabbricare una flotta di barche agili ed eleganti, dotate di prue argentate, remi rivestiti di madreperla e vele di porpora; e, dopo averle attrezzate con cuscini e lettucci, le affittava ora ai villeggianti desiderosi di esplorare le coste. Poiché non tutti potevano permettersi una barca di proprietà, durante la stagione termale i servizi delle sue navi andavano a ruba, e ormai si parlava dell'armatore come di un prossimo concorrente alla carica di duumviro.

Peraltro, l'inizio del suo successo coincideva in ampia misura con la miracolosa guarigione operata da Iside, e ciò era sufficiente a suscitare i sospetti di Aurelio, che aveva incaricato Castore di compiere un sopralluogo a Capua, dove Vibio aveva abitato fino alla sua improvvisa prosperità. Ora non restava che convincere Damaso a collaborare per tendere una trappola all'assassino.

- Un truffatore tra di noi, non posso crederlo! – esclamò il custode spalancando la bocca, stupefatto davanti alle affermazioni del patrizio.

- Purtroppo non è impossibile che qualcuno approfitti di noi, Damaso - consigliò Fabiana, posando la mano sulla spalla del marito.

Tuttavia il custode era un osso duro, e né la toccante oratoria del senatore, né il tintinnare promettente di una borsa piena di sesterzi lo convincevano a prestarsi al gioco.

Il senatore gettò il suo ultimo dado, appellandosi al desiderio di discendenza del bravo custode. - Un impostore si è fatto beffa della dea, e ne ha ucciso il gran sacerdote. Se ci aiuti a smascherarlo, forse Iside ti ricompenserà con la grazia che gli chiedi da tanto tempo - disse, mentre Fabiana distoglieva gli occhi.

Finalmente Damaso si decise a mollare.

- Ammetto che quella mattina, passando davanti al purgatorium, ho sentito alcune voci concitate e poco dopo ho visto Vibio uscire di gran fretta - dichiarò il consorte di Fabiana. - Dubito però che ammetterà mai di essere stato laggiù a quell'ora. La mia è soltanto la parola di un modesto custode, mentre lui è uno dei più grossi imprenditori della città; e anche se fosse un millantatore, temo che non riusciremo mai a dimostrarlo.

- Forse il modo c'è: lascia questo messaggio arrotolato sull'altare della dea, prima della grande cerimonia che si svolgerà tra qualche giorno - disse il patrizio, affidandogli un papiro sigillato con la ceralacca.

- D'accordo, tuttavia potrebbe trascorrere non poco tempo prima che si presenti il momento propizio per fare quanto mi chiedi. Con Palemnone avevo mano libera, era sempre in giro a bighellonare per la strada; Nigello, invece, prende molto sul serio i suoi nuovi compiti ed è raro che lasci l'ekklesiasterion - accondiscese infine Damaso, cercando con lo sguardo la tacita approvazione della moglie.

 

La notte dell'iniziazione di Aurelio, il tempio risuonava di canti fin dal calar del sole.

Le ombre di Anubis, Apis e Osiride, proiettate dai funalia appesi al muro dietro le grandi statue, si allungavano inquietanti tra le colonne del santuario. Poco lontano - più piccolo, ma ancor più minaccioso - si ergeva il simulacro di Sekhmet, la dea della vendetta, che colpiva i blasfemi con le sue terribili maledizioni. Per un bizzarro effetto di luce, gli occhi felini della statua parevano scrutare a fondo il nuovo fedele, quasi a indagarne la sincerità delle intenzioni. Il senatore distolse lo sguardo, augurandosi che Epicuro fosse nel giusto quando sosteneva che gli dei, se pure esistevano, non si occupavano affatto delle faccende dei mortali...

A un tratto, il salmodiare si fece cupo e ritmico, mentre un'orrenda mistura cominciava a bollire in una ciotola.

Aurelio, il torace nudo e i fianchi avvolti da un panno bianco che scendeva fino a coprirgli i piedi, guardò la brodaglia repellente, chiedendosi come avrebbe potuto evitare di ingurgitarla. Prima di decidersi al gran passo, si era premurato di sorbire un antidoto preventivo, capace di ritardare, se non proprio annullare, gli effetti della droga. In cuor suo, aveva nutrito la segreta speranza di riuscire a sputarla di soppiatto; ma adesso, invece, gli occhi di tutti gli adepti erano puntati su di lui, e Nigello non lo perdeva di vista un istante.

L'improvvisa richiesta di essere iniziato ai misteri aveva suscitato non poche perplessità nel novello gran sacerdote, che si era fatto persuadere soltanto dal prestigio che sarebbe derivato alla comunità dall'altissima condizione sociale del neofita: l'adesione di un senatore romano portava gran lustro alla setta, senza contare che Publio Aurelio Stazio era tanto popolare a Baia da indurre svariati clientes a seguirlo nella nuova religione, anche soltanto per adeguarsi a una moda.

Così Nigello aveva acconsentito, limitando per il momento l'iniziazione ai primi riti, quelli che prevedevano l'assorbimento della pozione magica e una notte di contemplazione passata in solitudine in una cella del tempio. A questo proposito, il sacerdote non sembrava affatto preoccupato di un eventuale incontro tra il nuovo convertito e Iside incarnata: a meno che, naturalmente, sapesse per certo che la dea non aveva alcuna intenzione di manifestarsi...

Intanto l'officiante, dopo aver agitato più volte la cesta del sacro cobra, insisteva nel porgere la ciotola al patrizio, che non poté più esimersi dal bere.

Aurelio buttò giù tutto di un fiato, sperando che l'antidoto fosse di una qualche efficacia. Poco dopo, accompagnato dal coro dei fedeli, veniva disteso sul tappeto ricamato coi segni dello zodiaco. Un ultimo sventagliare di turiboli, poi la porta della cella si chiuse tra i vapori pesanti dell'incenso.

 

Il senatore si guardò attorno confuso, alla luce della minuscola lanterna, e provvide subito ad accertarsi che non lo avessero imprigionato assieme al sacro cobra. Niente ceste, né rettili in vista, appurò sollevato.

In quel momento la testa cominciò a girargli. Si riscosse, cercando di alzarsi in piedi e lottare contro la sonnolenza che gli faceva pesare le palpebre. Dopo un po', tuttavia, la schiena non resse più allo sforzo, e il patrizio, suo malgrado, dovette rassegnarsi a sdraiarsi di nuovo sul tappeto, come un bambino troppo stanco.

A un tratto gli parve che la lucerna cominciasse a ondeggiare. L'intruglio stava agendo; qualche istante ancora e sarebbero cominciate le allucinazioni: doveva stare molto attento a non lasciarsi andare. Per combattere l'incoscienza cominciò a scandire uno per uno tutti i nomi dei cento e più schiavi della sua domus, in seguito contò i suoi numerosi clienti, per passare infine a recitare mentalmente l'elenco delle opere scientifiche di Aristotele e Teofrasto.

Stava  per attaccare coi volumi  dell'enciclopedia di Posidonio, quando scorse nell'ombra un lieve movimento. Non aveva sentito aprire la porta, quindi l'intruso, di chiunque si trattasse, doveva essere entrato da un passaggio segreto che immetteva sul fondo della cella, dietro la grande statua di Anubis.

Subito dopo apparve la dea: alta, imponente, terribile nella maschera bovina dal copricapo cornuto. Egle o Arsinoe? Si chiese il senatore. Quando gli fosse stata abbastanza vicina, l'avrebbe smascherata una volta per tutte.

Il mantello si aprì, rivelando il corpo nudo che aveva la perfezione di una scultura greca. Adesso la divina apparizione era a un passo da Aurelio, e stava per chinarsi su di lui.

Il patrizio tentò di alzare il braccio per afferrarla, ma i muscoli indolenziti non gli risposero e la mano annaspò nell'aria, in un gesto goffo e inutile. L'antidoto aveva fallito; la droga stava togliendogli ogni forza, consentendo alla dea di impossessarsi di lui...

No: era una donna in carne e ossa, non una dea, a incombere sul suo corpo, ragionò Aurelio con quel po' di lucidità che gli rimaneva. Tuttavia, il patrizio sembrava impossibilitato ad appurarne l'identità, dato che la vista annebbiata gli impediva di riconoscerla. Quando avvertì contro il torace la pressione dei seni, il peso dell'addome e la stretta delle braccia bianchissime, sentì suo malgrado l'eccitazione salirgli dentro. Non voleva abbandonarsi, ma sapeva che quella violenta e inusitata voluttà avrebbe presto avuto ragione della sua resistenza. Allora raccolse tutte le energie residue per sollevare il capo e incollò la bocca alla spalla sinistra della donna, affondandovi i denti.

Il gemito di dolore, soffocato dalla maschera cornuta, non ebbe nulla di divino.

Aurelio strinse più forte, rifiutandosi di mollare la presa, finché una mano non gli calò sulla faccia, facendogli mancare il fiato. Così spalancò la bocca, liberando la donna, ed essa schizzò via con un balzo.

Esausto, il senatore piombò in una oscurità senza sogni.

 

- Bel colpo, padrone! Comunque io avrei aspettato un altro po', prima di darle quel morso... - si congratulò Castore, che stava preparandosi a partire alla volta di Capua. Per indurlo ad affrontare il breve viaggio, Aurelio aveva dovuto promettergli cinquanta sesterzi, un congio di vino e il permesso di usare per dieci giorni di fila il suo palanchino aperto.

- Naturalmente non ho fatto parola del prodigio con Nigello - disse il senatore, alludendo alla misteriosa apparizione della notte precedente. - Ho cercato Egle e Arsinoe, invece, senza però riuscire a trovarle. Comunque non potranno nascondersi a lungo: dopodomani c'è la grande processione per il varo di una nuova nave, il cui proprietario ha pagato fior di quattrini in cambio della benedizione di Iside. Le due sacerdotesse dovranno parteciparvi con l'abito di lino bianco dalle spalle scoperte, così impareremo chi delle due si spaccia per la dea.

- Magari è stata proprio una delle ragazze che, visti i suoi giochetti scoperti da Palemnone, lo ha ucciso per evitare una denuncia - considerò il segretario.

- No, erano entrambe troppo fragili per poter ingaggiare una lotta contro un uomo robusto. Una di loro, però, potrebbe essere in combutta con l'assassino.

- Sei proprio sicuro che Vibio sia colpevole del delitto? - dubitò Castore.

- Niente affatto, tuttavia sono ragionevolmente certo che tramasse con Palemnone per spennare i fedeli. Non è difficile fingersi malati, e la sua improvvisa guarigione è il primo miracolo che la dea abbia compiuto, nonché il più spettacolare: da quel momento i soldi sono piovuti sul tempio come chicchi di grandine durante una tempesta.

- Già... Del resto, se fossero stati Ippolito o Nigello a organizzare la truffa, le loro finanze oggi sarebbero più prospere; invece dispongono entrambi di ben poco denaro, dopo essersi dissanguati con le donazioni.

- Vediamo come può essere andata - rifletté Aurelio. - I soci, dopo anni di proficua collaborazione, vengono a diverbio nel dividersi il bottino, e Vibio decide di risolvere la situazione nel modo più semplice e conveniente per i suoi interessi: restringe la cerchia dei complici e fa fuori Palemnone.

- Ma perché avrebbe dovuto annegarlo nel bacino dell'acqua lustrale, quando ci sono tanti metodi più rapidi e sicuri per uccidere? - si chiese Castore. - Forse il sacerdote lo ricattava e lui si è lasciato prendere dal panico...

- Può darsi - ribatté Aurelio, poco convinto.

- Spiegami una cosa - domandò il segretario, perplesso. - Che significano i geroglifici che hai tracciato sul papiro consegnato al custode?

- Sono simboli di morte: chiunque abbia anche lontanamente a che fare con la religione egizia ne capirà il significato.

- Ma che cosa speri di ottenere? Un messaggio simile può avere effetto soltanto su un vero credente, mentre un simulatore ci farebbe sopra una grassa risata.

- Di devoti sinceri ne abbiamo a bizzeffe: tutti, praticamente, tranne l'assassino e la donna che si traveste da dea - osservò Aurelio.

- La cui identità conosceremo presto, grazie al morso che le hai lasciato sulle spalle. Mi sembra che siamo a buon punto - concluse Castore. - Sempre che le cose non siano destinate a complicarsi...

 

Una processione in onore di Iside costituiva uno spettacolo di prim'ordine, e parecchi villeggianti avevano rinunciato al salutare bagno mattutino alle terme per assistervi.

Nel cortile del tempio, Aurelio, addobbato nella toga di gala, faticava a nascondere il suo disagio: una notte intera nella cella segreta e la presenza in prima fila in un corteo religioso erano più di quanto la sua cristallina reputazione di epicureo potesse sopportare, senza uscirne piuttosto malconcia.

In quel momento Nigello, ieratico e solenne, scese dai gradoni tenendo tra le mani i simboli del potere divino: la lucerna a forma di barca, la palma con le foglie dorate, il setaccio d'oro colmo di alloro.

Dietro al sacerdote, sorretta da quattro iniziati, comparve il simulacro della dea, in tutto e per tutto simile all'apparizione che si era manifestata al senatore: parrucca nera, mantello ricamato, maschera bovina, copricapo dalle corna incurvate sul disco del sole nascente.

Al passaggio dell'immagine, alcuni fedeli si buttarono in ginocchio; altri toccarono terra con la fronte, all'uso orientale. Il patrizio rimase in piedi, ignorando il gesto concitato di Ippolito, che gli faceva cenno di abbassare la testa: d'accordo le esigenze dell'inchiesta, ma un senatore romano non si inchinava a niente e nessuno, nemmeno al divino Cesare, tanto che ai tempi del folle Caligola c'era stato persino chi, tra i padri coscritti, aveva pagato con la vita l'orgoglioso rifiuto a prosternarsi davanti all'imperatore.

Nigello non parve far caso all'atteggiamento di Aurelio. Procedeva attonito, quasi ebbro, muovendo le labbra come se stesse parlando direttamente con la dea: d'altra parte, non aveva detto e ripetuto mille volte di averne udito la voce possente, durante le sue estasi?

Vibio, dal canto suo, non aveva modo di guardarsi attorno, occupato com'era a sorreggere le zampe anteriori della bianca giovenca, che per antica tradizione non dovevano mai toccare terra. Aurelio lo vide tendere i bicipiti muscolosi: per un uomo di quella forza, considerò, sarebbe stato uno scherzo tenere Palemnone sott'acqua...

Subito a ridosso della statua avanzavano, leggere sui sandali dai tacchi altissimi, le due sacerdotesse, avvolte da capo a piedi in candidi manti di lino. Alla vista di quei veli castigati, Aurelio fu lì lì per imprecare di rabbia, ma a un tratto Egle levò in alto le braccia e con un gesto aggraziato si tolse lo scialle dai capelli adornati di ghirlande, per posarlo delicatamente sulla testa della statua.

Il senatore aguzzò gli occhi: nessun morso... dunque era Arsinoe la donna che cercava. Facendosi largo tra la folla, raggiunse rapidamente la sacerdotessa e le si parò davanti.

La ragazza, per nulla impressionata, gli rivolse un largo sorriso, e fece in modo che il manto sottile le scivolasse maliziosamente dai capelli, fino a rivelare l'attaccatura del seno. Il patrizio fissò allibito la pelle perfetta, senza segni di sorta, e la delusione sul suo viso dovette apparire in modo lampante, perché Arsinoe, indispettita per tanta poca galanteria, si ricoprì immediatamente e prese a ignorano.

- Aurelio, Aurelio, è accaduto ancora! - lo chiamò in quel momento Ippolito, tirandolo per le falde della toga. Fuori di sé per la gioia, il giovane vaneggiava circa un nuovo incontro con Iside reincarnata.

Aurelio fu lesto ad approfittarne. - La dea aveva forse un segno sulla spalla sinistra? - chiese attento.

- A dire il vero, non lo so: le sue braccia erano completamente coperte dal manto... - confessò Ippolito, titubante.

- Forse allora c'è un'altra spiegazione! - lo liquidò in fretta il patrizio, che aveva finalmente cominciato a capire.

In quell'istante comparve Castore che, di ritorno da Capua, era corso senza indugio al corteo per mettere il padrone al corrente delle novità.

- Mi devi un congio di vino, padrone! Ne ho sapute delle belle! - esclamò il segretario, in preda all'eccitazione. - Come supponevi, Vibio è un furfante bello e buono! – continuò urlando, nel tentativo di coprire con la voce il frastuono dei timpani che allietavano il corteo.

 

Tre ore di preghiere e litanie avrebbero sfibrato chiunque. Vibio, che ne aveva trascorse due portando a braccia la giovenca e un'altra ad aspergere la nuova nave di acqua benedetta, doveva essere affranto. Aurelio non si stupì quindi di trovarlo dentro al tempio, ancora col fiato grosso.

- Faticoso guadagnarsi la salvezza! - disse, sedendo accanto a lui sulla panca.

- I tuoi modi non mi piacciono per niente, senatore - replicò lui in tono risentito. - È evidente che ci consideri tutti dei babbei, e pretendi di interessarti alle nostre credenze soltanto per tirar fuori dai guai la tua grassa amica. Invece ti assicuro che non riuscirai a fargliela passare liscia!

- Intendi sempre dar corso all'accusa? Nigello sembra disposto a chiudere un occhio...

- È una questione di prestigio: tutta Baia deve sapere che non si può colpire impunemente il nostro gran sacerdote.

- Già, comprendo. In caso contrario, i fedeli dubiterebbero del potere divino e cesserebbero di riempire d'oro le tue casse - replicò il patrizio. - Però hai fatto male i tuoi conti, Vibio:  non potrai manovrare Nigello come facevi  con Palemnone.

- Cosa vuoi dire? - impallidì l'altro.

- Che il tuo socio, di egiziano non aveva neppure la punta delle unghie. Certo, addobbato da maestro del culto di Iside era abbastanza convincente, ma ha esagerato nel fingere di saper tradurre l'iscrizione incisa sullo scarabeo. La sua risposta mi ha insospettito, così ho voluto vederci più chiaro e ho scoperto che il sedicente gran sacerdote conosceva il geroglifico ancor meno di me. A questo punto, ho spedito il mio segretario a svolgere una piccola indagine qui vicino: a Capua, per l'esattezza... è la tua città di origine, se non sbaglio.

- Puoi scavare fin che vuoi nel mio passato, Aurelio: non vi troverai nulla di disonorevole.

- Salvo una causa per truffa.

- Vedo che sei bene informato. Saprai dunque che sono uscito da quel processo con la reputazione immacolata.

- Il giudice, però, nutriva forti dubbi sulla tua innocenza...

- I giudici, figurati! Una masnada di astuti carrieristi che complottano alle spalle della gente dabbene per propiziarsi l'ingresso nel cursus honorum della politica! - dichiarò Vibio, accompagnando le sue parole con un gesto sprezzante.

- Uscisti assolto da quel processo, vero? Forse perché il principale testimone dell'accusa, un cenciaiolo con una vistosa voglia dietro l'orecchio, il giorno della causa risultò irreperibile. Ed è proprio a questo mancato testimone che quel ficcanaso del mio segretario ha dedicato la sua attenzione. Perché, vedi, il giudice si ricordava bene sia te che lui, dato che eravate stati voi a stroncargli la carriera. Dopo la causa alla quale non si presentò, l'uomo con la voglia di vino ricomparve a Puteoli sotto il nome di Palemnone. Non faceva più il  raccoglitore di stracci; anzi, disponeva di un borsellino ben fornito, come se avesse fatto un grosso favore a qualcuno...

Vibio fece per giustificarsi; poi, intimidito dallo sguardo accusatore di Aurelio, ritenne più prudente tenere la bocca chiusa.

- Non deve essere stato difficile accordarti col tuo vecchio complice per architettare un piano che rimpinguasse le sostanze di entrambi - proseguì il senatore. - Infatti, grazie al tuo appoggio, Palemnone venne scelto come sacerdote del  tempio di Iside, che versava allora in totale abbandono: il collare sacro era un ottimo pretesto per nascondere la voglia, e Palemnone lo indossava in permanenza, ligio al rispetto della liturgia. Tu, intanto, avevi cominciato a lamentare forti disturbi, calandoti nella finzione così bene che amici e parenti ti credevano allo stremo. E poi un giorno, davanti a un folto pubblico, ecco la guarigione miracolosa, il prodigio che fa moltiplicare i fedeli e le offerte. Quegli ingenui, naturalmente, nulla sapevano della vostra cospirazione: al povero Nigello avete fatto credere di parlare con Iside, amplificando una voce con un cono di pergamena, e siete riusciti anche a impressionare la plebe, mostrando la statua della dea che piangeva sangue... o meglio, vino rosso. Della sincerità della moglie del pretore, invece, mi permetto di dubitare: è difficile che non si sia accorta che la stavano ingravidando...

- Basta! - gridò Vibio, esasperato.

- Il piano procede, le donazioni piovono a dirotto e gli affari vanno a gonfie vele - continuò Aurelio, imperterrito. - Ma poi, ahimè, accade un miracolo imprevisto: la dea appare senza che nessuno l'abbia evocata, e si mette a far l'amore con Ippolito! Palemnone si arrabbia: è convinto che tu voglia continuare il gioco da solo, tagliandolo fuori; così ti minaccia e tu lo fai tacere per sempre, tenendogli la testa sott'acqua.

- Non hai una sola prova di quello che vai dicendo! - protestò Vibio.

- Può darsi - ribatté il senatore. - Però il magistrato di cui ti dicevo se l'è legata a un dito e intende venire a Baia: è sicuro che riconoscerà Palemnone anche sotto forma di mummia. In quanto alla moglie del pretore, piuttosto che rischiare di mettere in dubbio la paternità di suo figlio, è pronta ad accusarti delle peggiori turpitudini, assassinio compreso. Senza contare il mio amico Servilio, che sta radunando tutti i poveretti che hai derubato, per darti battaglia in tribunale. Ti rovineranno, Vibio; il gioco è finito, e stavolta nessuno può salvarti dalla condanna al remo o alle miniere di sale. Sempre che tu non vada al capestro per l'uccisione del tuo complice, naturalmente...

Vibio cominciò a tremare: - Senti, potrei anche ammettere di essermi lasciato andare a qualche scorrettezza, ma non mi farò affibbiare un omicidio che non ho commesso.

- Dunque saresti innocente... eppure il custode ti ha visto al tempio, quella mattina.

- È vero, ho litigato con Palemnone: lui credeva che fossi io a organizzare le apparizioni della dea! Però sono uscito dal purgatorium lasciandolo in perfetta salute, anche se un po' alterato. È stata la tua amica Pomponia a ucciderlo!

- No, Vibio. Pomponia è innocente e posso dimostrano: si era appena purificata con l'olio benedetto e, dato che Palemnone portava il capo completamente rasato, non le sarebbe stato possibile trattenergli la testa sott'acqua con le mani scivolose di unguento, mentre lui si dibatteva con energia per poter respirare.

- Ciò malgrado, ti ripeto che quando l'ho lasciato era vivo e vegeto. Chiedi a Damaso; il custode ricorderà di certo che ero già lontano, quando Pomponia è entrata nella stanza del bacino lustrale. E se è vero quello che dice la tua amica, il sacerdote doveva essere morto solo da pochi istanti – protestò Vibio, che cominciava a vedersela brutta. - Il colpevole dev'essere Ippolito... non a caso ha inventato quella frottola sulle apparizioni della dea!

- In altre parole, concordi con me che è tutta una messinscena? - sorrise Aurelio.

- Ma certo, non c'è mai stata nessuna dea. O Ippolito è un dissennato in preda alle visioni, o sta giocando sporco, per farci qualche brutto scherzo... - annaspò Vibio, alla disperata ricerca di un capro espiatorio.

- Ti sbagli, Vibio. La dea esiste veramente - lo smentì il patrizio.

- Sì, e chiede vendetta - disse una voce alle loro spalle. Nigello, abbigliato col collare d'oro e le insegne della sua alta dignità, avanzava a grandi passi, stringendo in mano il sacro cobra, che sibilava minaccioso. - Ho sentito la tua confessione, Vibio!

- Nigello, non crederai... - arretrò l'altro, deglutendo.

- Da tempo sapevo dei vostri brogli e ho dovuto difendere Iside, liberandola dall'indegno sacerdote che aveva fatto mercimonio della sua grazia. L'acqua lustrale del bacile ha lavato il suo crimine, purificando il tempio dalle vostre dissolutezze. Il prossimo sarai tu: se ti lasciassi arrestare dal senatore, riusciresti in qualche modo a cavartela; invece la dea ti colpirà a morte! - sentenziò Nigello, facendo gesto di scagliare il serpente contro l'uomo atterrito.

Gli dei, però, non sono sempre disposti a venire incontro alle richieste degli esseri umani, e nemmeno i serpenti: il cobra, offeso da quel trattamento irriguardoso, perse la pazienza e scattò soffiando verso la mano che lo teneva prigioniero. Un grido, e Nigello barcollò, mollando la presa.

Il cobra soffiò di nuovo, quasi a spiegare le sue personali ragioni, poi strisciò a raggomitolarsi nella sua cesta. Aurelio, coperto da un sudore di ghiaccio, la raggiunse con un balzo e si affrettò a richiuderla.

- Sto per morire, non sento più le mani e i piedi – mormorò Nigello, accasciandosi al suolo. La mano, già quasi fredda, annaspò sotto la tunica bianca e ne trasse il papiro di Aurelio. - Ho avuto un messaggio, un segnale di morte: credevo che fosse per Vibio, ma la dea ha deciso altrimenti. Ora Iside mi aspetta, per donarmi l'eterna felicità...

- Numi, non si può far qualcosa? - chiese Vibio, mentre il senatore posava un manto arrotolato sotto il capo del moribondo.

- Iside, Iside, ti sento... - sussurrò il sacerdote nell'agonia, ascoltando nel più profondo silenzio il richiamo dell'aldilà. - Sto venendo da te...

- Numi, ci credeva sul serio - si stupì Vibio, alla vista di Nigello che esalava l'ultimo respiro col sorriso sulla bocca. - E tu, Aurelio, sapevi che non ero colpevole!

- Ho sempre sospettato che fossi un ladro, non un assassino. Per uccidere ci vuole coraggio, Vibio, oppure la ferrea convinzione di essere nel giusto. Tu non avevi né l'uno, né l'altra. È stata l'acqua lustrale a farmi sospettare della colpevolezza di Nigello: il delitto aveva molte caratteristiche che facevano pensare a una esecuzione rituale, piuttosto che a un semplice omicidio. Nigello, infatti, aveva inteso giustiziare la sua vittima - disse il patrizio, ricomponendo il corpo senza vita del sacerdote. - Per questo ho fatto in modo di parlarti proprio mentre sapevo che si trovava in ascolto. Damaso l'ha mandato qui con una scusa, perché potesse sentirti bestemmiare la sua dea: speravo che l'indignazione lo spingesse a uscire allo scoperto, come infatti è stato.

- E quel papiro... gliel'hai fatto avere tu, non è così? Non avevi prove e volevi coglierlo sul fatto, pur sapendo che avrebbe tentato di uccidermi!

- C'ero io a difenderti, no? E in ogni caso, non sarebbe stata poi una gran perdita - minimizzò il senatore.

- Che figlio di puttana! - lo investì Vibio con livore.

Il patrizio non si scompose: mostrarsi offeso sarebbe servito a poco; e, dopotutto, sua madre non era stata un modello di castità.

- Quel fanatico, però, era ancora peggio di te. Ma ci pensi? Le cose andavano a gonfie vele, il culto di Iside acquistava ogni giorno nuovi proseliti e noi stavamo diventando ricchi, perché mai ha rovinato tutto - scosse la testa Vibio, incapace di comprendere.

- Non compatirlo: è morto felice, convinto di rinascere in un altro mondo. Tu, invece, dovrai prepararti ad affrontare un lungo processo che...

- Piano, piano, senatore; potremmo sempre metterci d'accordo - lo interruppe l'altro, con pragmatico tempismo.

- Ti offro una via di scampo - stabilì Aurelio, secco. - Tutte le tue navi devolute al tempio, e Ippolito gran sacerdote. Sarà anche un ingenuo, ma è un uomo onesto e userà il frutto delle tue malefatte a beneficio di coloro che ne hanno bisogno.

- Tutte le mie navi, ma sei matto? - si disperò Vibio.

- Ti lascio la barca da pesca, potrai campare con quella. O accetti, o il prossimo viaggio lo farai nella stiva, incatenato a un remo.

- La barca da pesca... e pensare che non so nemmeno gettare una rete! - gemette l'imbroglione, risolvendosi ad accettare la proposta.

 

Pomponia volteggiava per il salone, avvolta nella palla argentata che si era fatta cucire apposta per la festa.

- Oh, Aurelio, come sono stata stupida; avrei dovuto capirlo subito che quella storia di Iside era tutta una truffa: troppi soldi, troppo lusso, non è così che si mostra la vera fede... Adesso, però, ho trovato una setta molto più seria, che venera un falegname galileo morto qualche anno fa. Dicono che sia gente semplice e perbene...

- Per carità, Pomponia, non vorrai invischiarti nei meandri di un'altra oscura religione orientale! - la represse Servilio, facendo valere, almeno per una volta, la sua autorità maritale. - Accontentati dei nostri bravi Numi romani, che se ne stanno buoni buoni sull'Olimpo senza dar fastidio a nessuno, e chiedono soltanto qualche sacrificio ogni tanto: di questi culti stravaganti tra un po' nessuno sentirà più parlare!

La matrona sospirò e per trovare consolazione corse a rituffarsi nei suoi doveri di ospite. In quel momento, infatti, stava entrando Ippolito, biancovestito dalla testa ai piedi, assieme a Egle, Arsinoe, Damaso e Fabiana.

- Vi presento il nuovo gran sacerdote! - esclamò il custode.

- Non potevate fare scelta migliore - commentò Aurelio.

Ippolito si schermì con modestia: - Non sono loro ad avermi eletto. Con un colpo di fortuna davvero incredibile, ho avuto occasione di incontrare il sommo iniziato del tempio di Alessandria, di passaggio a Puteoli, che mi ha consacrato di persona.

- Il sommo iniziato di Alessandria, hai detto? Forse il mio segretario lo conosce... - commentò il senatore, sperando che non si trattasse di uno dei sacerdoti truffati da Castore ai tempi gloriosi della sua prima giovinezza. D'istinto, cercò con gli occhi il segretario, che in quel momento avrebbe dovuto trovarsi al suo fianco a omaggiare gli invitati.

Di Castore, tuttavia, non si scorgeva traccia. Strano, pensò il patrizio: il profumo di vino speziato che saliva dai crateri colmi di vino caldo di solito costituiva un richiamo irresistibile per l'assetato liberto.

- Ora sono davvero tranquillo, perché potrò dedicarmi al mio compito con tutti i crismi della legalità. Il sommo sacerdote mi ha fatto immergere nell'acqua lustrale, purificandomi - continuò Ippolito. - Poi ha voluto trattenersi a lungo da solo con Egle e Arsinoe, per penetrare...

“Numi del cielo!” tremò in cuor suo Aurelio, che cominciava a nutrire qualche dubbio sull'identità del presunto sommo iniziato.

- ...La profondità della nostra fede, naturalmente! – si affrettarono a spiegare all'unisono le due fanciulle.

- Come mai il sacerdote egizio si trovava da queste parti? - chiese dubbioso il senatore.

- Era in viaggio per raccogliere i fondi necessari al restauro del grande santuario di Siene. Gli ho consegnato volentieri quel po' che restava nelle casse del tempio: noi non ne avremo più bisogno, ora che Vibio ha firmato la devoluzione del suo intero patrimonio alla comunità.

Adesso Aurelio sentiva decisamente puzza di bruciato: - Ditemi, il sommo iniziato aveva la testa rasata come tutti voi?

- Certamente - confermò Ippolito, e il patrizio sospirò di sollievo, vergognandosi di aver nutrito un sospetto infame.

- Però aveva la barba: una barbetta corta, a punta - ricordò  il custode. - Quando la dea si manifesterà di nuovo, le chiederemo il permesso di portarla anche noi.

- Ahimè, Iside non apparirà mai più; me l'ha comunicato lei stessa - disse Ippolito con accorato rimpianto. - Ma io la servirò per sempre, con la massima devozione!

- Sono sicuro che la vostra dea saprà comunque ricompensarvi, accordando presto tutte le grazie che le avete richiesto - replicò il patrizio, guardando di sottecchi Damaso.

- L'ha già fatto, senatore! - rispose lui, con gli occhi brillanti di gioia. - Avrò finalmente un erede!

 

Poco dopo, allontanatosi con un pretesto dagli ospiti, Aurelio piombava nei quartieri della servitù, staffile alla mano.

- Castore! - tuonò.

- Eccomi, padrone!

Il senatore lo osservò stupito: la chioma, corta e ben curata, era integra. Forse si era sbagliato della grossa...

Fu soltanto quando il servo fece per andarsene che Aurelio notò sulla sua nuca alcune tracce appiccicose.

- Che cosa ti sei messo in testa, per fingerti calvo, Castore? - chiese, ticchettando un piede sul pavimento, in segno d'impazienza.

- La vescica di una giovenca, domine: basta un po' di pasta collosa e aderisce perfettamente alla cute. Purtroppo, non ho avuto modo di mascherare la barba - riconobbe l'altro, senza nemmeno tentare di giustificarsi.

- Restituirai subito il maltolto! - gli ingiunse il padrone.

- Se proprio me lo ordini... ehi, ma non ti sembra di sentire uno strano rumore? Un sibilo sottile, appena percettibile... pare quasi una serpe!

- Numi del Tartaro, il sacro cobra! - agghiacciò Aurelio, facendo un balzo indietro.

- Riparati, domine, ti difendo io! - si espose eroicamente il segretario, spingendo il patrizio fuori dalla porta. Aurelio, sconcertato dal gesto inatteso del generoso servitore, non ebbe nemmeno il tempo di reagire.

Si udì una specie di tafferuglio, e qualche istante dopo Castore riemerse sano e salvo dalla stanza, col viso atteggiato all'aria trionfante che doveva inalberare il neonato Ercole reduce dalla lotta coi due serpenti che lo avevano aggredito nella culla.

- Ah, se non ci fossi io... ma adesso è tutto a posto, padrone. Ho catturato quella bestiaccia e l'ho chiusa là dentro - disse il segretario, additando un cestino di vimini. - Per fortuna ho una grande dimestichezza con le serpi, fin da quando ero bambino: in Egitto ne ho persino allevate... Ma stavamo parlando del misero gruzzolo che mi hanno dato al tempio. Sei proprio sicuro che restituirlo sia la cosa migliore?

- E come no? - si stupì il padrone.

- Prima di tutto, da un punto di vista morale, la mia non può essere considerata una truffa. Infatti, grazie all'abile investigazione che ho svolto a Capua, i seguaci di Iside metteranno le mani sulla flotta di Vibio ed è giusto che una piccola percentuale del guadagno spetti anche a me. In secondo luogo, il tuo scrupolo di onestà provocherebbe un'amara delusione al povero Ippolito, rovinando il suo bel sogno. È persuaso di essere stato consacrato dal sommo sacerdote in persona; immagina come ci resterebbe male, se venisse a sapere che invece ero io!

La gente come Ippolito, pensò Aurelio, costituiva una vera e propria istigazione a delinquere per i furbastri.  Forse Castore non aveva tutti i torti, nel voler lasciare le cose come stavano...

- In terzo luogo, dove troveresti il coraggio di penalizzare un servo fedele che ti ha appena salvato la vita, a rischio della sua? - aggiunse Castore, come argomento risolutivo.

Aurelio storse la bocca: il magnanimo gesto del segretario giungeva un po' troppo a proposito. Senza esitare, si diresse al cestino del cobra.

- Attento, padrone, è pericolosissimo! - lo mise in guardia il segretario, tirandolo indietro. Il senatore, però, aveva già scoperchiato col frustino la cesta, che rivelò al suo interno un'innocua biscia d'acqua.

- E questo sarebbe il serpente velenoso! Hai preparato questa messinscena credendo di gabbarmi, vero? – esclamò Aurelio, alzando lo staffile.

Vistosi scoperto, Castore portò le mani sopra la testa, per difendersi dalla meritatissima punizione; ma proprio in quel momento la biscia dette un guizzo e gli si avvinghiò alla gamba destra.

- Per pietà, levamelo di dosso, padrone! Ho una paura matta dei serpenti! - urlò, mentre Aurelio lasciava cadere il frustino scoppiando a ridere.

Castore fu lesto ad approfittarne e sparì nelle fauces, sempre in compagnia della biscia, che non ne voleva sapere di mollare la presa. Il patrizio non tentò nemmeno di fermarlo. Aveva altro da fare che inseguire quell'imbroglione: non era cosa di tutti i giorni incontrare a tu per tu una dea; doveva cogliere quella singolare occasione...

 

La donna, appoggiata alla balaustra aperta sul porto, guardava il mare con un sorriso beato.

- Lode a Iside dalle bianche braccia, che sana gli invalidi e fa concepire le sterili... - le disse sottovoce Aurelio, giungendole silenziosamente alle spalle.

Fabiana sobbalzò.

- Qualche volta, tuttavia, anche gli Immortali necessitano di un piccolo aiuto. E per una bella femmina abituata a nascondersi sotto abiti severi e verecondi, non è troppo difficile prendere il posto di una dea nel letto dei fedeli.

La donna non lo smentì: - Desideravo un figlio. Damaso non poteva darmelo.

- Fu quando scopristi l'inganno della moglie del pretore che ti venne l'idea, giusto? Devo comunque dire che, modesta come sembri, sei stata molto convincente nella parte della dea voluttuosa!

Fabiana arrossì e strinse le labbra.

- Non c'è nulla di cui vergognarsi. Quando un bravo attore recita, spesso diventa tutt'uno col personaggio - la consolò Aurelio, ironicamente indulgente.

- Lo dirai a Damaso? - chiese lei, la voce tremante.

Il patrizio sorrise: le argomentazioni di Castore sull'inopportunità di mostrarsi onesti a tutti i costi l'avevano convinto.

- Perché mai? - rispose a Fabiana. - Hai agito saggiamente, facendo la felicità di tre persone: la tua, quella di tuo marito e quella di Ippolito. E se solo fossi arrivato a capire un po' prima come stavano le cose, ne avrei tratto un certo beneficio anch'io...

- A Iside, allora! - invocò Fabiana commossa, prendendo un calice e offrendolo al senatore, dopo averlo levato nell'offerta agli dei.

- Sì, a Iside - le fece eco Aurelio, e vuotò il suo nappo tutto di un fiato.

Morituri te salutant
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